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La svolta di Antonio (seconda parte) – “Famiglia, dolore, consapevolezza”

Introduzione

Questa è la seconda parte della testimonianza di Antonio. Qui potrete leggere la prima parte Quando scatta qualcosa – la svolta di Antonio

Antonio è un dentista. Un uomo preciso, razionale, abituato a lavorare con le mani e con la mente. La sua è sempre stata una vita “funzionante”: una professione solida, un figlio di cui prendersi cura, una routine che sembrava normale. Eppure, dietro quella normalità apparente, si nascondeva una dipendenza silenziosa, vissuta quasi come un’abitudine serale, qualcosa da tenere a bada senza mai affrontarla davvero.

Tutto è cambiato all’improvviso. Non con un evento eclatante, ma con un click interiore. Una consapevolezza inaspettata, arrivata una sera a casa, da solo. Senza clamore, ma con la forza di una valanga.

Oggi Antonio è ancora in cammino. Non si definisce “guarito”, ma qualcosa dentro di lui è cambiato in modo irreversibile. E ha deciso di raccontarlo. Per sé. Per Luca, suo figlio. E per chi, come lui, ha bisogno di riconoscere il momento in cui tutto può – finalmente – ricominciare.

Famiglia, dolore, consapevolezza

“Le mie sorelle mi sono venute a cercare. Sono arrivate da Milano una domenica. E mi hanno detto: Antonio, basta.”

La vera spinta verso il cambiamento non è arrivata solo da dentro. È arrivata da chi gli voleva bene abbastanza da non girarsi dall’altra parte.

Due sorelle, preoccupate da tempo, hanno trovato il coraggio di dirglielo in faccia. Senza giri di parole. Senza più attenuanti. Per il suo bene. E per il bene di Luca, suo figlio di nove anni.

“Non potevo più permettermi di non esserci con la testa. Mio figlio aveva bisogno di me. Io dovevo esserci.”

Il 2022 era stato un anno devastante: la morte del padre, un grave incidente d’auto che lo ha costretto a letto con sette fratture, la separazione forzata dalla compagna in crisi psichiatrica. Tutto si era concentrato lì, in un unico anno che Antonio definisce senza esitazioni un limbo. Un buco nero.

La casa era diventata un campo di battaglia emotivo. Antonio lavorava di giorno, la compagna era assente o in balia dei suoi fantasmi. La situazione era insostenibile. Pericolosa. Luca stava crescendo in un ambiente che minava la sua sicurezza e serenità.

“Se non fosse stato per Luca, non so quanto avrei resistito. Ma lì ho capito: o lo salvavo, o lo avrei perso. E con lui avrei perso me stesso.”

È stata una consapevolezza brutale, ma salvifica. Antonio ha scelto di separarsi, di restare nella casa per tutelare suo figlio, di affrontare colloqui con assistenti sociali, psicologi, giudici. Lo ha fatto con determinazione. Non per vincere una causa. Ma per tornare a essere un padre.

Da lì in poi, ogni gesto ha preso un nuovo significato. Anche il più piccolo. Non era più questione di sopravvivere. Era il momento di ricostruire qualcosa di stabile. E di umano.

Le relazioni che si spezzano

“Non avevo alternative. Dovevo scegliere: o salvavo mio figlio, o continuavo a vivere in una relazione che ci stava distruggendo.”

Il rapporto con la compagna era diventato ingestibile. Antonio la descrive come una persona fragile, segnata da disturbi alimentari, uso incontrollato di farmaci, abuso di sostanze. Una spirale autodistruttiva che si era fatta sempre più pericolosa, soprattutto per Luca.

Il punto di rottura arriva in modo drammatico: Antonio è in vacanza con Luca quando riceve una telefonata. Paola, la madre di suo figlio, è chiusa in casa, manda messaggi inquietanti. Stanno per chiamare i pompieri. Al rientro, trova la casa devastata. Ed è costretto a prendere una decisione netta: allontanarla, per proteggere il figlio.

La compagna viene ricoverata in una clinica psichiatrica. Il giudice apre un fascicolo. I servizi sociali avviano un’indagine. Antonio si sottopone a colloqui, valutazioni, controlli, per dimostrare che può essere un riferimento stabile per suo figlio. Dopo mesi di osservazioni e incontri, Luca viene affidato a lui.

“Non volevo dimostrare di essere migliore. Volevo solo ricostruire un minimo di sicurezza intorno a mio figlio. Dargli un presente credibile. Un futuro possibile.”

Questa parte del racconto è forse la più cruda. Perché qui non si parla solo di dipendenza, ma di legami umani che si spezzano, di fiducia che si frantuma, di ruoli che cambiano. Antonio, da compagno, è diventato tutore. Da uomo in crisi, si è fatto padre affidabile.

“Mi sono trovato a difendere mio figlio da una persona che amavo. È stato il dolore più grande. Ma anche la mia prova più vera.”

La doppia dipendenza: sostanza e disorganizzazione

Con il tempo, Antonio ha capito che la dipendenza non era fatta solo di quella sostanza serale che lo teneva sotto anestesia. Era una rete più ampia, invisibile ma soffocante: fatta di cose lasciate in sospeso, di abitudini dannose, di decisioni evitate troppo a lungo.

“È più facile farsi che affrontare una multa scaduta, una relazione in crisi, un conto in rosso. È più facile spegnersi che rimettere mano alla propria vita.”

La sostanza, racconta, alimentava un circolo vizioso. Ma il vuoto mentale e operativo in cui era sprofondato faceva il resto. Le giornate passavano a metà, i pensieri erano appannati, le cose importanti venivano rimandate di continuo. Il disordine prendeva il sopravvento: in casa, nella mente, nei rapporti.

Nel suo racconto affiora una verità spesso sottovalutata: la dipendenza si intreccia con la disorganizzazione cronica, con l’incapacità – o la paura – di affrontare le piccole cose. Eppure sono proprio quelle, a lungo andare, a generare malessere, ansia, frustrazione. E a spingere di nuovo verso la fuga.

“Era una vita tenuta insieme con lo scotch. E ogni giorno saltava un pezzo.”

Solo quando ha iniziato a rimettere ordine – nelle scadenze, negli spazi, nelle priorità – Antonio ha sentito i primi segnali di risalita. Un processo lento, spesso faticoso. Ma essenziale.

“Ricominciare è anche questo: trovare una multa dimenticata da quattro anni e pagarla. Rimettere le cose al loro posto. Una alla volta.”

Ritrovare il senso delle cose, rimettere mano alla propria quotidianità, non è una parte accessoria del percorso. È il cuore della trasformazione. Ed è da lì che Antonio ha ricominciato a sentirsi, finalmente, presente.

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Per chi è in difficoltà: un messaggio di speranza

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